martedì 24 aprile 2012

25 aprile 2012


In questi anni, dove la memoria è bottino per i predoni,
abbiamo il dovere morale di non lasciarla tra le loro fauci

giordan

Albert Kesserling, che durante il secondo conflitto mondiale fu il comandante delle forze armate germaniche in Italia, a fine conflitto (1947)  fu processato e condannato a morte per i numerosi eccidi che l'esercito nazista aveva commesso ai suoi ordini (Fosse Ardeatine, Strage di Marzabotto e molte altre).  Successivamente la condanna fu tramutata in ergastolo, ma egli venne rilasciato nel 1952 per le sue presunte gravi condizioni di salute. Tale gravità fu smentita dal fatto che Kesselring visse altri otto anni libero nel suo Paese, ove divenne quasi oggetto di culto negli ambienti neonazisti della Baviera.
Tornato libero, Kesselring sostenne di non essere affatto pentito di ciò che aveva fatto durante i 18 mesi nei quali tenne il comando in Italia ed anzi dichiarò che gli italiani, per il bene che secondo lui aveva loro fatto, avrebbero dovuto erigergli un monumento. In risposta a queste affermazioni Piero Calamandrei scrisse la celebre epigrafe, dedicata a Duccio Galimberti "Lo avrai, camerata Kesselring...", il cui testo venne posto sotto una lapide ad ignominia di Kesselring stesso, deposta dal comune di Cuneo, e poi affissa anche a Montepulciano,  in località Sant'Agnese, a Sant'Anna di Stazzema, ad Aosta, all'ingresso delle cascate delle Marmore, e a Borgo San Lorenzo, sull'antico palazzo del Podestà.
(fonte wikipedia)










Piero Calamandrei

Lo avrai
camerata Kesserling
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costituirà
a deciderlo tocca a noi
non coi sassi affumicati
dei borghi inermi e straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità.
Non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire
ma soltanto col silenzio dei torturati
più duro di ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato tra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo
su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ORA E SEMPRE RESISTENZA

P. Calamandrei



domenica 22 aprile 2012

Scusate se ogni tanto sparisco, ma non sempre nelle latitudini dove mi trovo ho la connessione che funziona...



questo è un blog che per scelta, ho voluto dedicare solo alla poesia. In passato, alla sua nascita, spaziavo su tematiche sociali e se fate un giro trovate ancora il materiale dentro.

Credo la poesia capace di parlare all'umanità in un modo alto, finito, riuscendo, o almeno spero, a toccare i cuori veramente di chi legge. Qui raccolti, come avete avuto modo di vedere, ci sono molti poeti e in alternanza, dei miei insiemi di parole. La scelta che mi ha spinto a fare solo poesia è stata proprio questa: la finitezza della parola poetica, come forza comunicativa che va oltre l'articolo, la denuncia. 

Oggi però voglio un attimo uscire dal canone e condividere con voi, quanto scaturito da un dialogo con una persona conosciuta per caso

buona lettura  

Slovacchia 18 aprile 2012


… prima non avevate la libertà?
Sì,è vero:
ora
avete la libertà di diventare poveri …

Giordan a Goran

Bratislava, 21.30, osteria di periferia a est della città:

le parole, a volte, sono armi sulle quali fondare la propria rivoluzione o
strumento
di resa
innanzi alle avversità della vita.

 Quanto ho detto ad uno slovacco, non ha suscitato in lui sgomento: tristemente, annuendo, mi ha confermato la considerazione.

Non è facile immaginare, o meglio percepire, le sfumature che hanno plasmato la vita di popoli geograficamente vicini, ma culturalmente lontani.
Non è facile capire esattamente cosa muoveva realmente oltre quel muro, oltre quella cortina di ferro, impedendo di fatto la libertà.

Cos’è realmente la libertà?
È  una domanda che non ci si pone chiaramente, ma sovente, ci si accontenta di un velato contorno.
La libertà, è quella cosa che cammina al contrario rispetto alla macchina del potere, del controllo sociale, dell’alienazione.

Non ha molta importanza il colore della bandiera quanto il fine di chi la sostiene.
L’interesse va oltre i diritti condivisi e usa strumenti appropriati alle condizioni sociali e culturali delle vittime per sottometterle.

Ci si interroga spesso sui meccanismi del  passato che hanno dominato i popoli appartenenti alla ex Unione Sovietica e, noi occidentali, riempiamo i salotti di impressioni negative.
È chiaro: quando  la libertà individuale viene messa in discussione, si è di fronte ad un regime.

La cosa che noi occidentali fatichiamo a comprendere, è che di regimi ne esistono molti ed alcuni, sono sofisticasti, subdoli, meno apparenti, ma più efficaci.

I salotti per esempio, che noi riempiamo di parole sorseggiando drink, non sono dell’amica o del tale che ci ospita o nostri, ma di una banca o di una finanziaria.
L’auto lussuosa che abbiamo in garage, è di una compagnia di leasing.
La casa dove abitiamo, è della banca alla quale ogni mese versiamo la rata del mutuo.
Il lavoro che facciamo, non dipende dalle esigenze reali nostre o della società che ci circonda, ma è frutto dei meccanismi del capitale, della borsa, delle risorse di danaro in mano a pochi che vengono traslate nei vari continenti del pianeta, sulla base dei potenziali ricavi.
Un danaro, quello che noi abbiamo in tasca, falso e mutevole sulla base di regole assurde di coloro che ne detengono il controllo.
La ricchezza che produciamo non è per noi, ma per un sistema infernale, quel sistema che ora sta ingoiando le persone privandole della libertà di scegliere come vivere.

Non mi addentro oltre nei meccanismi perversi che innescano questo lato di mondo “libero”: mi interessa la parola libertà.
Una parola che i governi occidentali usano spesso per mettersi a confronto con il resto del pianeta:
un resto che sovente ha meno libertà, o non ne ha affatto, per colpa dei governi occidentali stessi.

Le ideologie le scrive il potere e i popoli le sposano, le inneggiano dividendosi per colore, pensiero, abitudini, ma fondamentalmente dividendosi. È questo ciò che serve a chi produce l’ideologia. Frazionare le masse per averne il controllo.

Quando il potere è forte, totalitario, allora si va oltre. Non serve lo scontro ideologico quando c’è un regime perché il sistema ha raggiunto il suo massimo sviluppo, il suo apice, e non gli serve più la falsa democrazia del pluralismo politico.
Con il pugno duro tengono sotto scacco le società impedendo di fatto ogni azione indipendente e antagonista.

Non importa il colore del potere: la sua reazione nei confronti di coloro che non condividono gli obiettivi è la stessa: violenza e repressione.

Nell’Est non potevano decidere e chi “pensava” o “parlava in modo antisonante al sistema”, veniva messo da parte, punito.
Nell’Est ora, hanno l’illusione di essere padroni delle loro scelte.
E al di qua della cortina?
Dove stanno le differenze?
Abbiamo lo stesso miraggio: pensiamo di essere liberi di scegliere, ma in realtà muoviamo i nostri passi su un terreno tracciato sulla base di percorsi definiti: siamo identificabili in uno dei vari insiemi di connotazione sociale e culturale.
Quando al sistema dai fastidio, sanno esattamente dove sei, chi frequenti e dove ti trovi grazie alle connotazioni che ci siamo attribuiti.
Il paragone non calza? Vi sembra comunque di aver vissuto e vivere una condizione diversa da quanto vissuto dai popoli regimentati?
Provate a fare questa domanda a chi da anni lotta per fermare la demenziale TAV o la demenziale base statunitense DAL MOLIN. Due opere che, oltre ad essere inutili, devastano il paese. Provate a parlare con coloro che hanno tentato di smontare la struttura mafiosa dei partiti, della politica italiana cercando di punire i politici corrotti senza mai riuscirci e perdendo la vita come Falcone e Borsellino. Provate a chiederlo a coloro che hanno cercato di denunciare le connessioni pericolose tra i servizi segreti statunitensi e quelli italiani, per frenare una possibile vittoria della sinistra negli anni 70, passando attraverso le stragi di stato e trovandosi a fare i conti con una magistratura che cercava colpevoli tra i proletari per depistare le indagini ( Piazza Fontana per citarne una di eclatante). Negli USA, le cose non sono state e non sono molto diverse: l’opinione diffusa è che gli Stati Uniti rappresentano il paese più libero e democratico in assoluto: provate a chiederlo ai pacifisti e ambientalisti americani come Joan Baez,  considerati”eco-terroristi” per aver manifestato contro la politica economica americana e le molteplici guerre  che il grande paese democratico innesca per esportare il suo modello di “libertà”. Poi, tornando in Europa, proviamo a chiederlo al popolo greco quanto si sente libero di scegliere a fronte della condizione economica indotta dalle banche e dai potenti della comunità europea.
Certamente tutti abbiamo delle responsabilità e rifugiarsi dietro alle condizioni imposte dai governi è un atteggiamento infantile. Se le persone fossero più solidali, meno individualiste, più partecipative, si potrebbe realmente invertire il processo illiberale e antidemocratico che vela tutta la terra e che veste colori diversi sulla base di precise strategie e posizioni geografiche.


giordan
    

 









domenica 8 aprile 2012

il vino di Volterra

violenta
breve e
grave
una bava scorre e corre
tra le righe di un labbro giovine
gualivo
tra i morsi persi dei denti da latte

non c’è capire che stana i vuoti a perdere
adesso
sgorgo in rosso

in mestizia convulsa simbionte
questo nettare d’uva
a me dichiara l’esistenza mai sentita

senza tanino non sono omo e
vago di contrada e strada
di sentiero cavo tra i cavi 
montedison

giordan